μικρό, όμορφο μοναχικό πουλί με φτερά γαλαζοπράσινα, που ζεί στην Ευρώπη, Ασία και Αφρική. Τρέφεται με ψάρια και άλλα μικρά ζωα ή έντομα της θάλασσας. Καταφέρνει να μένει ακίνητο στον αέρα ώσπου να εντοπίσει το θήραμά του και να το συλλαβει σε βραχύτατο χρόνο (2-3 δευτερόλεπτα).
Κατα την Ελληνική Μυθολογία η ΑΛΚΥΟΝΗ ήταν η κόρη πανέμορφη κόρη του Αίολου, του θεού των Ανέμων, που παντρεύτηκε το Κήυκο, βασιλά της Θράκης. Ποτέ η γή δεν φιλοξένησε πιό ευτυχισμένο ζευγάρι.
Η ζωή τους ήταν ένα όνειρο ειρήνης, ηρεμίας και ευτυχίας. Η Αλκυόνη θεωρούσε τον συζυγό της σαν τον πιό όμορφο, τον πιό δίκαιο, τον πιό καλό άνθρωπο στη γή και τον προσφώνησε θεό....... Ο Δίας θύμωσε πολύ με αυτή την ασέβεια και θέλησε να τους τιμωρίσει... έτσι.......
.....μια μέρα έμφανίστηκε στην περιοχή ένας λύκος που απειλούσε να καταστρέψει τα πάντα. Ο Κήυκος αποφάσισε να ζητήσει την βοήθεια της Πυθίας για ν'αντιμετωπίσουν τον άγριο λύκο. Η Αλκυόνη ζήτησε να τον συνοδεύσει μα αυτός αρνήθηκε, γιατί δεν ήθελε να την διακινδυνεύσει μαζί του. Ο καιρός περνούσε μα ο Κήυκος δεν επέστρεφε. Η Αλκυόνη τον περίμενε με αγωνία. Τα όνειρά της τις νύχτες ήταν εφιαλτικά και τις μέρες τον περίμενε στα βράχια της θάλασσας. Μια μέρα που η τρικυμία ήταν φοβερή φαίνεται απο μακρυά το καράβι του Κήυκου, όπως ακριβώς το είχε ονειρευτεί. Χωρίς δεύτερη σκέψη, ρίχνεται στη τρικυμιώδη θάλασσα να τον σώσει, με κίνδυνο της ζωής της. Οι θεοί θαυμάζοντας την αγάπη τους αποφάσισαν να τους μεταμορφώσουν σε πανέμορφα πουλιά για να σωθούν από την τρικυμία. Και κάθε χειμώνα, στα μέσα του Γενάρη, που γεννούν τα πουλιά τους, οι πρώτες μέρες γίνονται ηλιόλουστες και ζεστές, που έκτοτε ονομάστηκαν Αλκυονίδες μέρες......
Lunapiena
Alcione era una graziosa fanciulla, figlia di Eolo re dei venti. Era nata nella più grande delle isole Eolie (quel gruppo, per intenderci, che sta vicino alla Sicilia e che noi oggi chiamiamo il gruppo delle Lipari) dove suo padre aveva la reggia in una grotta scavata sul fianco di una montagna, e dove teneva custoditi tutti i venti in certi otri giganteschi.
ΑπάντησηΔιαγραφήOgni tanto ne apriva uno. Il vento scapigliato si precipitava sul mare e questo si gonfiava in onde mostruose, rovesciandosi sulla spiaggia. Un giorno nel porto dell'isola venne ad approdare un re giovane e bello, signore della greca città di Trachina. Il suo nome era Ceice e come era suo dovere, andò a rendere omaggio ad Eolo nel suo antro.
Quivi, avendo visto, in mezzo alle altre fanciulle, la bellissima Alcione, se ne innamorò e la chiese subito in sposa. Eolo acconsentì e i due giovani, celebrate le nozze nell'isola, salirono sulla nave di Ceice e spinti da un soave Favonio, raggiunsero Trachina.
Mai due sposi furono più felici di Ceice ed Alcione. Il regno era prospero, i sudditi erano laboriosi e ubbidienti, i re delle terre vicine tutti amici. La vita scorreva come un bel sogno tra feste, conviti e cacce: Alcione considerava il suo sposo come il più bello, il più gentile, il più affettuoso uomo della terra.
Ma un giorno una serie di prodigi misero in subbuglio tutti i paesi intorno al regno di Ceice. Era apparso sulle montagne un mostruoso lupo, enorme e di inaudita ferocia, che minacciava di distruggere tutti gli armenti. Otto o dieci bestie al giorno venivano scannate e lasciate ad imputridire al sole; perché quel lupo non uccideva per fame, ma per innata ferocia; e forse anche per un ordine espresso degli dei, che volevano punire gli uomini di quelle terre di qualche loro misfatto.
Alle stragi quotidiane della belva seguì un nuovo prodigio veramente straordinario. Mentre il lupo una mattina si lanciava sopra una giovenca e già l'aveva addentata al collo, la bestia e la belva improvvisamente diventarono di sasso. Tutti potevano vedere sulla montagna il gruppo pietrificato.
Ceice atterrito anche lui di tutte quelle strane cose, pensò di andare a consultare un oracolo in un'isola lontana, ed espose il suo progetto alla giovane sposa. La decisione del re mise in grande orgasmo la tenera Alcione. Ella non si era mai staccata neppure per un giorno dal marito, ed ora, all'idea di vederlo partire solo sul mare, si sentiva tutta atterrita.
-Mio caro - gli disse Alcione abbracciandolo al collo, -non partire o se vuoi farlo, conduci anche me con te, perché io condivida i tuoi pericoli. Io non mi sento di restar sola, mentre tu navighi lontano, esposto alle insidie dell'infido mare, e ai capricci dei venti. Tu non li conosci questi furibondi agitatori dell'aria, ma io li conosco bene, perché quando ero nel regno di mio padre li udivo ruggire paurosamente nel fondo delle caverne. So quanto e' selvaggio Borea, che cala sul mare impetuoso come un'aquila marina, conosco l'Austro sibilante, il Maestrale delle ali sonore, il furibondo Aquilone, che solleva onde alte come colline, e il perfido Zeffiro, che al principio pare che scherzi, e poi gonfia le gote e schianta le navi contro le scogliere. Non partire, mio caro marito, il mare e i venti mi incutono una terribile paura e mi suggeriscono i più funesti presentimenti. Proprio stamattina, guardando verso la spiaggia, vidi le onde seminate dei rottami di un naufragio.
Tavole, travi, indumenti umani erano trasportati dalla corrente dei flutti e rovesciati alla rinfusa sull'arena. Una voce interna mi dice che questo viaggio ti sarà funesto. O tu non parti, o io vengo con te. Ceice, che amava la sua giovane sposa di pari affetto, si senti profondamente intenerito alle parole di Alcione; ma non credette conforme alla dignità di un re cedere davanti alla prospettiva di un pericolo. D'altro canto non voleva esporre la moglie ai disagi di una navigazione, che sarebbe durata alcuni mesi. Si provò a confortarla.
- Non piangere, mia diletta - disse Ceice- e non eccitare la tua fantasia cedendo all' influsso delle previsioni funeste. Io parto nell'imminenza della primavera e presto i venti invernali cederanno al Favonio. E poi il mio viaggio non durerà a lungo; prima che due volte si rinnovi la luna nel cielo, io sarò di ritorno e non mi staccherò più da te.
Alcione parve calmarsi alle amorevoli parole del marito, ma quando si recò al porto con lui per accompagnarlo il giorno della partenza, al momento del distacco svenne, e la nave di Ceice si allontanò, mentre Alcione, pallida e tutta inondata di lacrime, giaceva sulla spiaggia in braccio alle serventi. I giorni che seguirono furono giorni di grande angoscia per la povera Alcione. Il suo pensiero non riusciva a staccarsi dal marito e la sua fantasia eccitata lo seguiva in tute le ore del giorno e della notte. Ogni mattina esaminava il cielo, spiava il corso delle nubi, osservava il vento e guardava lungamente il mare come se volesse ammansirlo con la luce tenera dei suoi occhi ansiosi.
Passarono così alcune settimane. Il cielo era clemente, i venti sul mare soffiavano propizi; già due volte la luna aveva rinnovato la sua faccia e il ritorno di Ceice non poteva essere lontano. Alcione una mattina si recò al tempio di Giunone, le offri' incenso, mirra e una coppia di bianche colombe e poi, ritornata alla reggia, preparò i suoi abiti più belli, le fiale dei più inebrianti profumi. All'indomani ella sarebbe andata al porto con le sue donzelle, per ricevere il marito e voleva farsi bella per rendergli onore. Ma nella notte una violenta tempesta si scatenò sul mare, con acqua, grandine e il vento più impetuoso.
La nave di Ceice, investita dal turbine, perse vele e timone e andò a cozzare contro uno scoglio riducendosi in frantumi. Allora Giunone spedì Iride, la messaggera degli dei, nella casa del Sonno, perché mandasse alla povera Alcione un sogno che la preparasse alla sciagura. Il luogo dove il Sonno aveva la sua reggia era ai confini della Terra. Sui fianchi di una montagna tutta coperta da nebbie spesse e bianche come il latte, s'apriva una grotta profonda, quasi chiusa da una selvetta di alti papaveri, che pareva dormissero anch'essi coi calici zeppi di rugiada. Intorno non si udiva una voce, il sibilo di un insetto, il frusciare di una fronda. A mille miglia distante non si sarebbe trovato un gallo o un cane che abbaiasse. Le erbe intorno erano piumose e ovattate, i fiori papposi si sfioccavano sul terreno, formando uno spesso e morbido tappeto, che smorzava il rumore dei passi. Accanto alla grotta scorreva un fiumicello le cui acque nere producevano un rumore monotono come il ronzare d'un calabrone.
Superata la selvetta di papaveri che chiudeva la bocca dell'antro, si vedeva in mezzo un letto di nero ebano, con coperte nere e neri tendaggi, sul quale placido e grasso come un vecchio Budda giaceva il Sonno con le mani intrecciate sul ventre. Russava sonoro e intorno a lui, confusi e spessi come i fiori sopra un prato di fieno falciato di fresco, giacevano i sogni. Ve ne erano migliaia e migliaia, alcuni belli e sereni col viso dolce della speranza, alti brutti e accigliati, frenetici e deformi; le unghie adunche coperte di sangue, il cipiglio feroce, con la bocca aperta nell'urlo dello spavento, e col volto coperto di lacrime.
Vi erano gli incubi dagli occhi spalancati, gialli come quelli dei gufi, i sogni curiosi dei fanciulli, mezzi uomini e mezzi animali, e quelli dei vecchi che somigliano alla morte e camminano sui trampoli. Iride chiamò uno di quei sogni, Morfeo, quello che più di tutti e' bravo a presentare visioni che simulano la verità, e lo mandò da Alcione perché le facesse vedere in sogno il naufragio di Ceice. Morfeo spalancò le sue ali di seta e in un attimo si posò sul letto della giovane sposa iniziando il suo sortilegio.
Ecco, davanti alla misera sposa comincia a sfilare la visione terribile. La notte nera sul mare, le nubi color di pece che versano dalle loro immani trombe acqua e grandine, e si spalancano al bagliore dei lampi. Il vento impetuoso squassa le vele e frantuma gli alberi. La ciurma accorre grondante, la coperta e' spazzata dai marosi.
L'aria e' piena di stridi e di schiuma, la voce della tempesta si mischia sotto il cielo nero col rombo fragoroso del tuono. A un tratto un'onda gigantesca investe la prua e scardina il timone, un'altra afferra la nave come un guscio e la scaglia a frantumarsi contro una roccia. Sull'acqua buia non rimangono che rari naufraghi; annaspano urlando per aggrapparsi a qualche rottame di tavole e invocano aiuto. Finalmente il mare si calma, e' prossima l'alba. Sul maestoso ondeggiare dei marosi non e' rimasto che il corpo di un solo naufrago, un corpo giovane e bello che ora viene spinto verso la spiaggia. Col cuore in gola Alcione aguzza gli occhi per vedere se può scorgere il viso di quel naufrago e a un tratto con un grido disperato si risveglia.
E' tutta madida di sudor freddo e il cuore le batte fino a spezzarsi. Nelle pupille spaventate le rimane ancora l'orrore della visione notturna. Quel naufrago aveva tutte le fattezze e il corpo del suo Ceice. L'aveva riconosciuto benissimo, era lui. Con un'angoscia indicibile la giovane sposa si precipita alla finestra che guarda verso il mare e la spalanca. Imbianca appena l'alba. Un minaccioso corteggio di nuvole temporalesche i cui lembi ai primi raggi si tingono di porpora, passano ai confini del cielo, come un esercito vittorioso che torni da una battaglia, un moderato ondeggiamento muove le acque e il cielo e' limpido, spazzato come dopo un temporale.
Con nelle pupille ancora la terrificante visione notturna Alcione lascia la reggia e si reca sopra uno scoglio vicino al porto, per spiare le acque e l'orizzonte lontano. Numerosi rottami si vedono nereggiare sui marosi e fra essi si scorge qualcosa di bianco, come un corpo umano. E' una cosa inerte, che appare e scompare in mezzo alle schiume, esattamente come quella che ella ha già visto nel sogno.
A mano a mano che si avvicina verso la riva il dubbio diventa certezza: e' proprio un corpo umano. Si avanza con le braccia spalancate ed inerti. il petto candido, giovanile, la faccia livida e i capelli biondi ondeggianti intorno alla testa come i tentacoli di una medusa. Attende che il naufrago arrivi sotto lo scoglio, la infelice Alcione, e quando quello quasi tocca i piedi della rupe, un terribile grido le esce dal petto:
-Ceice... Ceice...
E' lui; il suo adorato sposo che le ritorna annegato, esattamente come le era apparso in sogno. Frenetica e come attratta da una vertigine la disperata sposa si slancia giù dallo scoglio per abbracciarlo, ma prima che il suo corpo tocchi lo specchio d'acqua, un prodigio inaudito si produce. Le braccia spalancate di Alcione sono diventate due bianche e flessibili ali, il corpo si e' coperto di piume, le vesti bianche si restringono e si irrigidiscono in una breve coda, la testa e' diventata come quella di una colomba.
Il nuovo uccello sfiora col petto appena le onde, poi si risolleva e si mette a ruotare sul corpo del naufrago con acute strida. Pare lo chiami: "Ceice... Ceice !..."
E il naufrago l'ascolta, si rianima e si trasforma anch'esso. Anche le sue braccia diventano ali, il corpo gli si copre di piume candide. Si libra sull'acqua stridendo, sfiora anche lui la sua sposa, intreccia le sue con le ali di lei e sembra voglia abbracciarla. Come ebbri i due uccelli si alzano, si librano sulle ali e si abbandonano ad una danza di voli frenetici, dileguando nell'azzurro.
Giunone Lucina, la protettrice degli sposi fedeli, aveva avuto pietà di Alcione e di Ceice e li aveva trasformati in due bellissimi gabbiani. Così nacquero questi uccelli della tempesta e come essi depongono le uova nella prima settimana dopo il solstizio invernale, gli dei disposero che in quel periodo il cielo fosse sereno e i venti temperati, perché non fosse turbato in quei giorni il mare.
Ecco perché quei giorni di bonaccia erano chiamati dagli antichi giorni di alcioni.
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Un altro Mito:
ΑπάντησηΔιαγραφήL'alcione e' un uccello molto solitario, amante della vita di mare, che nidifica sugli scogli, per sottrarsi, dicono, alla malvagità dell'uomo.
Una volta una femmina, come da tradizione, depose le proprie uova nel nido da lei appositamente costruito su un promontorio picco sul mare.
Nonostante le sue premure però, un giorno, mentre lei era a caccia di cibo per i piccoli, le onde del mare si alzarono a tal punto da raggiungere il nido e da scaraventare i piccoli contro la roccia.
L'alcione allora disperata non si dava pace e in uno dei tanti momenti di sconforto pare abbia detto: "Ho costruito il nido lontano dalla terra e dagli uomini per evitare le loro insidie, ma il mare ahimè....., si e'rivelato ben più infido.
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Un altra versione del Mito greco:
ΑπάντησηΔιαγραφήAlcione è una figura della mitologia greca, figlia di Eolo re dei venti.
Sposò Ceice di Trachis e la loro vita fu così felice che un giorno chiamò il marito "Zeus". Il re degli dei si indignò per questo affronto e scatenò una tempesta mentre Ceice era in viaggio per mare, facendolo annegare. La sua ombra apparve ad Alcione che, intuitane la morte, si gettò nelle acque per raggiungerlo.
Gli dei ne ebbero pietà e trasformarono entrambi in alcioni (un tipo di uccello non bene identificato, probabilmente un martin pescatore o una specie di gabbiano). Il nido dei due sposi, costruito vicino al mare, veniva continuamente distrutto dalle onde. Zeus ebbe nuovamente pietà e placò il mare per sette giorni, prima e dopo il solstizio d'inverno, affinché potessero riprodursi.
Per questo gli alcioni erano consacrati a Teti e considerati un collegamento tra cielo e mare. Divennero anche il simbolo di una rapida pace e di tranquillità.
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L'Alcyone è il capolavoro del D'Annunzio. E' una raccolta di liriche che si compongono insieme come un vasto e continuo poema solare; è il poema dell'Estate, sentita come un'entità divina e un nuovo mito sorto dall'animo del poeta, ritornato a un'elementare comunione con la natura.
ΑπάντησηΔιαγραφήIl D'Annunzio diceva:
"Le cose non sono
se non simboli dei nostri sentimenti
e ci aiutano a scoprire il mistero che ciascuno
di noi in sé chiude".
E nell'Alcyone esprime questa consonanza o comunione dell'anima umana con l'anima delle cose; si immedesima coi mari, coi fiumi, con la pioggia, con gli alberi.
E' quella che è stata chiamata la sua ebbrezza panica;
egli, inoltre, mentre sembra fluire nel ritmo vitale della natura e farsi egli stesso natura, la umanizza, la ricrea poeticamente, scopre nel suo perenne ciclo di trasformazioni una musica, che si può riscontrare nella "La sera fiesolana" e nella "La pioggia nel pineto".
Nell'Alcyone il mito del superuomo viene meno.
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Alcyone
ΑπάντησηΔιαγραφήSogni di terre lontane
Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natía
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.
Ah perché non son io cò miei pastori?
di Gabriele D'Annunzio
(poesia: I PASTORI)
Mia fanciulla,
ΑπάντησηΔιαγραφήsoave polifonia di canti sacri,
io non mi reggo più.
Un cèrilo, un cèrilo fossi.
A fiore dell'onda,
con le alcioni vola e non ha tremiti,
sacro uccello cangiante come il mare.
Alcmane
(lirico greco del IV sec. a.C.).
ALKYONE
ΑπάντησηΔιαγραφήForze opposte in cerca d'armonia
è la legge del mondo...
Giornate di sole, sorrisi di felicità
e primavere fiorite di paradiso,
nuvole bianche, dolci ricordi di nostalgia
nel cammino solitario del vento...
temporali d'inverno, burasche tempestose
porta l'ira del tempo,
e la nave dell'Amore affronta il pericolo
di affondare nelle acque nemiche,
...tra cielo e mare il volo dell'anima
un' Alkyone fedele che salva l'amore,
contro la furiosa tempesta del tempo
guadagna pace e tranquillità,
giorni di tregua... e di dolce speranza...
Giornate di Sole, sorrisi di Felicità
in attesa... di primavera.
Lunapiena