Σάββατο 26 Ιανουαρίου 2008

27 ΓΕΝΑΡΗ - ΗΜΕΡΑ ΜΝΗΜΗΣ για το ΟΛΟΚΑΥΤΩΜΑ

27 ΓΕΝΑΡΗ - ΗΜΕΡΑ ΜΝΗΜΗΣ
για το ΟΛΟΚΑΥΤΩΜΑ
Φέτος, η επέτειος συμπίπτει με την εξηκοστή επέτειο της Οικουμενικής Διακήρυξης για τα Δικαιώματα του Ανθρώπου!
Ο γενικός γραμματέας του ΟΗΕ, Μπαν Γκι Μουν, εξέδωσε σχετική ανακοίνωση, που μεταξύ άλλων είπε:
"Τιμούμε σήμερα την τρίτη Διεθνή Ημέρα Μνήμης των Θυμάτων του Ολοκαυτώματος. Την Ημέρα αυτή εκφράζουμε την αλληλεγγύη μας στους επιζώντες του Ολοκαυτώματος και στις οικογένειες των θυμάτων παντού στον κόσμο. Σε αυτούς που ισχυρίζονται ότι το Ολοκαύτωμα δεν συνέβη ή ότι πρόκειται για μια υπερβολή, απαντάμε με την αποφασιστικότητά μας να τιμήσουμε τη μνήμη κάθε αθώου άνδρα, γυναίκας ή παιδιού που δολοφονήθηκε από τους Ναζί και τους συνεργάτες τους.
Θρηνούμε τη μεθοδευμένη γενοκτονία του ενός τρίτου του εβραϊκού λαού και των άλλων μειονοτήτων, γενοκτονία, που στέρησε την ανθρωπότητα από την ανεκτίμητη προσφορά τους".
"Ωστόσο, δεν αρκεί να θυμόμαστε, να τιμούμε και να πενθούμε τους νεκρούς. Όπως ήδη πράττουμε, πρέπει ακόμη να εκπαιδεύσουμε, να γαλουχήσουμε και να νοιαστούμε για τους ζωντανούς. Πρέπει να ενισχύσουμε στα παιδιά μας το αίσθημα της ευθύνης ώστε να μπορέσουν να οικοδομήσουν κοινωνίες που σέβονται και προωθούν τα δικαιώματα όλων των πολιτών. Πρέπει να ενσταλάξουμε στους νέους το σεβασμό της διαφορετικότητας, πριν η μισαλλοδοξία βρει την ευκαιρία να ριζώσει. Πρέπει να τους δώσουμε το κουράγιο και τα εφόδια που χρειάζονται προκειμένου να κάνουν τις σωστές επιλογές και να δράσουν όταν εμφανισθεί το κακό"
"Σήμερα, υπενθυμίζουμε σε όλους τους ανθρώπους αυτά τα δικαιώματα. Θυμόμαστε εκείνους των οποίων τα δικαιώματα παραβιάστηκαν με βάναυσο τρόπο στο 'Αουσβιτς και αλλού, όπως και στις γενοκτονίες και φρικαλεότητες που έγιναν από τότε. Δίνουμε την υπόσχεση ότι θα κάνουμε πράξη το μάθημα που πήραμε από το Ολοκαύτωμα τόσο στη δική μας ζωή όσο και στη ζωή των επόμενων γενεών. Τη φετινή Διεθνή Ημέρα Μνήμης, ας αφοσιωθούμε ξανά σε αυτή την αποστολή".
(από το διαδύκτιο)

23 σχόλια:

  1. Η Γενική Συνέλευση του ΟΗΕ αποφάσισε στις 2 Νοεμβρίου 2005 να ανακηρύξει την 27η Ιανουαρίου Διεθνή Ημέρα μνήμης για τα θύματα του Ολοκαυτώματος από το ναζιστικό καθεστώς κατά τον Β' Παγκόσμιο Πόλεμo.

    Η ημερομηνία επιλέχθηκε επειδή στις 27 Ιανουαρίου 1945 τα προελαύνοντα σοβιετικά στρατεύματα απελευθέρωσαν το μεγαλύτερο στρατόπεδο συγκέντρωσης στο Άουτβιτς-Μπίρκεναου στην Πολωνία.

    Το σχέδιο της απόφασης αυτής που υποβλήθηκε από το Ισραήλ και υποστηρίχθηκε από 89 χώρες
    "καλεί τα κράτη-μέλη να επεξεργαστούν προγράμματα εκπαίδευσης που θα μεταδώσουν στις μελλοντικές γενεές τα διδάγματα του Ολοκαυτώματος και να βοηθήσουν να προλαμβάνονται πράξεις γενοκτονίας".

    (από τον Ελληνικό Τύπο)

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  2. Il segretario generale Kofi Annan all’Assemblea delle Nazioni Unite, pubblicato su "La Repubblica" 2 anni fa, aveva detto tra altro:

    “Mai più indifferenti davanti alle minacce di stermini e genocidi”

    Questa sessione è stata fissata in questa data per sottolineare il sessantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, anche se molti altri campi di prigionia caddero davanti alle forze alleate nell’inverno e nella primavera del 1945.

    Soltanto un poco alla volta il mondo arrivò a comprendere la vera portata del male che quei campi avevano racchiuso. Non erano semplicemente “campi di concentramento”: lo scopo non era quello di “concentrare” in un unico posto un gruppo di persone perpoterle tenere sotto controllo. Il loro scopo era quello di sterminare un intero popolo.
    Non si può permettere che una simile malvagità si ripeta.
    Dobbiamo stare sul chi vive, dobbiamo individuare qualsiasi revival di anti-semitismo, dobbiamo reagire immediatamente alle nuove forme che oggi si presentano. Quest’obbligo ci vincola non soltanto nei confronti del popolo ebraico, ma di tutti quelli che sono stati, o possono essere, minacciati da un simile destino.

    Noi ripetiamo giustamente: «Mai più!», ma passare all’azione è molto più difficile.

    Dai tempi dell’Olocausto, con grande ignominia, il mondo ha fallito più di una volta nel prevenire o nel porre fine a dei genocidi, per esempio in Cambogia, in Ruanda, e nell,ex Jugoslavia.
    Ancor oggi noi assistiamo ad agghiaccianti episodi di ferocia nelmondo: non è semplice decidere con quale priorità occuparsi di tali fatti, né che cosa si possa fare di preciso in merito ad essi per proteggere le vittime e garantire loro un futuro sicuro.

    E' facile dire che «occorre fare qualcosa». Ma decidere esattamente che cosa, quando e come e quindi passare all’azione non è così facile, è molto più difficile. Quello che di sicuro non dobbiamo fare è negare quanto di fatto accade, o rimanere indifferenti, come molti fecero quando le fabbriche della morte naziste portavano a termine il loro agghiacciante lavoro.

    (Trad, di Anna Bissanti)

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  3. Il 27 gennaio del 1945, i soldati dell'armata rossa entravano ad Auschwitz.

    L'abbattimento dei cancelli del più vasto campo di sterminio nazista rappresentò un avvenimento prevalentemente simbolico.
    Il campo era già stato evacuato.
    I prigionieri erano stati trasferiti forzatamente, in una lunga marcia sotto la neve, all'interno del territorio tedesco.

    Solo pochi reclusi, riusciti a nascondersi, furono effettivamente liberati dai soldati sovietici.

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  4. ITALIA: Legge 20 luglio 2000, n. 211

    "Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"
    pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000


    Art. 1.

    1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

    Art. 2.

    1. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere.

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  5. Il campo di Auschwitz fu costruito nel 1940 per ordine di Himmler nei pressi della cittadina polacca di Oswiecim (in tedesco Auschwitz) a 60 km da Cracovia. Del complesso facevano parte tre lager: Auschwitz I, dove furono uccise 70mila persone; Auschwitz II o Birkenau, dove furono uccise più di 1 milione di persone (la maggior parte nelle camere a gas); il campo di lavoro di Monowitz.

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  6. SE QUESTO E' UN UOMO

    Voi che vivete sicuri
    Nelle vostre tiepide case;
    Voi che trovate tornando la sera
    Il cibo caldo e visi amici:

    Considerate se questo è un uomo
    Che lavora nel fango
    Che non conosce la pace
    Che lotta per mezzo pane
    Che muore per un sì e per un no

    Considerate se questa è una donna,
    Senza capelli e senza nome
    Senza più forza di ricordare
    Vuoti gli occhi e freddo il grembo
    Come una rana d'inverno:

    Meditate che questo è stato:
    Vi comando queste parole:
    Scolpitele nel vostro cuore
    Stando in casa andando per via,

    Coricandovi alzandovi;
    Ripetetele ai vostri figli:
    O vi si sfaccia la casa,
    La malattia vi impedisca,
    I vostri cari torcano il viso da voi.

    Primo Levi

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  7. Al visitatore - Primo Levi


    Testo pubblicato per l’inaugurazione del Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti. Fascicolo edito a cura dell’Associazione Nazionale Ex Deportati politici nei campi di sterminio nazisti, aprile 1980.


    La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere del Lavoro nell’Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto. E’ vecchia sapienza, e già così aveva ammonito Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini, la violenza è un seme che non si estingue.
    E’ triste ma doveroso rammentarlo, agli altri ed a noi stessi: il primo esperimento europeo di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia è nato in Italia. E’ il fascismo, scatenato dalla crisi del primo dopoguerra, dal mito della "vittoria mutilata", ed alimentato da antiche miserie e colpe; e dal fascismo nasce un delirio che si estenderà, il culto dell’uomo provvidenziale, l’entusiasmo organizzato ed imposto, ogni decisione affidata all’arbitro di un solo.
    Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti: lo testimoniamo noi, gli italiani che siamo morti qui. Accanto al fascismo, altro filo mai interrotto, è nato in Italia, prima che altrove, l’antifascismo. Insieme con noi testimoniano tutti coloro che contro il fascismo hanno combattuto e che a causa del fascismo hanno sofferto, i martiri operai di Torino del 1923, i carcerati, i confinati, gli esuli, ed i nostri fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo restaurato dall’invasore nazionalsocialista.
    E testimoniano insieme con noi altri italiani ancora, quelli che sono caduti su tutti i fronti della II Guerra Mondiale, combattendo malvolentieri e disperatamente contro un nemico che non era il loro nemico, ed accorgendosi troppo tardi dell’inganno. Sono anche loro vittime del fascismo: vittime inconsapevoli.
    Noi non siamo stati inconsapevoli. Alcuni fra noi erano partigiani e combattenti politici: sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich vacillava, straziati dal pensiero della liberazione così vicina.
    La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le città italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell’Italia fascista, costretta all’antisemitismo dalle leggi razziali di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalità del popolo italiano. Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.
    C’erano bambini fra noi, molti, e c’erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merce sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, è stata la stessa per tutti. Non era mai successo, neppure nei secoli più oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli di cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che è stato civile, e che civile è ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo.
    In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si è toccato il fondo della barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa’ che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fà che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.

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  8. Il diario di Anna Frank

    Domenica, 14 giugno 1942

    Venerdì 12 giugno ero già sveglia alle sei: si capisce, era il mio compleanno! Ma alle sei non mi era consentito d'alzarmi, e così dovetti frenare la mia curiosità fino alle sei e tre quarti. Allora non potei più tenermi e andai in camera da pranzo, dove Moortje, il gatto, mi diede il benvenuto strusciandomi addosso la testolina.

    Subito dopo le sette andai da papà e mamma e poi nel salotto per spacchettare i miei regalucci. Il primo che mi apparve fosti tu, forse uno dei più belli fra i miei doni. Poi un mazzo di rose, una piantina, due rami di peonie: ecco i figli di Flora che stavano sulla mia tavola quella mattina; altri ancora ne giunsero durante il giorno. Da papà e mamma ebbi una quantità di cose, e anche i nostri numerosi conoscenti mi hanno veramente viziata. Fra l'altro ricevetti un gioco di società, molte ghiottonerie, cioccolata, un puzzle, una spilla, la Camera obscura, le Saghe e leggende olandesi di Joseph Cohen, le Vacanze in montagna di Daisy, un libro straordinario, e un po’ di denaro, così che mi potrò comprare i Miti di Grecia e di Roma. Che bellezza!

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  9. Sabato, 20 giugno 1942


    Per alcuni giorni non ho scritto nulla, perché prima ho voluto riflettere un poco su questa idea del diario. Per una come me, scrivere un diario fa un curioso effetto. Non soltanto perché non ho mai scritto, ma perché mi sembra che più tardi né io né altri potremo trovare interessanti gli sfoghi di una scolaretta di tredici anni. Però, a dire il vero, non è di questo che si tratta; a me piace scrivere e soprattutto aprire il mio cuore su ogni sorta di cose, a fondo e completamente.
    "La carta è più paziente degli uomini", rimuginavo entro di me questa massima in una delle mie giornate un po' melanconiche mentre sedevo annoiata con la testa fra le mani, incerta se uscire o restare in casa, e finivo col rimanermene nello stesso posto a fantasticare.
    Proprio così, la carta è paziente, e siccome non ho affatto intenzione di far poi leggere ad altri questo quaderno rilegato di cartone che porta il pomposo nome di "Diario", salvo il caso che mi capiti un giorno di trovare un amico o un'amica che siano veramente l'amico o l'amica, così la faccenda non riguarda che me. Eccomi al punto da cui ha preso origine quest'idea del diario: io non ho un'amica.
    Per essere più chiara debbo aggiungere una spiegazione, giacché nessuno potrebbe credere che una ragazza di tredici anni sia sola al mondo. Neppur questo è vero: ho dei cari genitori e una sorella di sedici anni; conosco, tutto sommato, una trentina di ragazze di alcune delle quali potreste dire che sono mie amiche, ho un corteo di adoratori che mi guardano negli occhi e, se non possono fare altrimenti, in classe cercano di afferrare la mia immagine servendosi di uno specchietto tascabile. Ho dei parenti, care zie e cari zii, un buon ambiente familiare; no, apparentemente non mi manca nulla, salvo l'amica. Con nessuno dei miei conoscenti posso far altro che chiacchiere, né parlar d'altro che dei piccoli fatti quotidiani. Non c'è modo di diventare più intimi, ecco il punto. Forse questa mancanza di confidenza è colpa mia; comunque è una realtà, ed è un peccato non poterci far nulla.
    Perciò questo diario. Allo scopo di dar maggior rilievo nella mia fantasia all'idea di un'amica lungamente attesa, non mi limiterò a scrivere i fatti del diario, come farebbe qualunque altro, ma farò del diario l'amica, e l'amica si chiamerà Kitty.

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  10. Mercoledì, 8 luglio 1942


    Cara Kitty,
    da domenica mattina a oggi sembra che siano passati degli anni. Sono avvenute tante cose da far credere che il mondo si sia capovolto. Ma, Kitty, vedi bene che vivo ancora, e questo è ciò che conta, dice papà. (…)

    Alle tre (Hello se n'era appena andato, per tornare più tardi), qualcuno suonò alla porta. Io non udii, perché stavo in veranda e leggevo prendendomi il sole distesa su una sedia a sdraio. Poco dopo comparve Margot, eccitatissima, alla porta della cucina. - C'è una chiamata delle SS per papà, - mormorò,- mamma è già andata dal signor Van Daan-. (Van Daan è un buon amico, collaboratore di papà nella ditta). Mi spaventai immensamente; una chiamata, si sa che cosa significhi. Nella mia mente già vedevo campi di concentramento e celle di segregazione. E doverci lasciar andare il babbo! - Naturalmente non si presenterà,- mi spiegò Margot, mentre in camera aspettavamo il ritorno della mamma.- Mamma è andata da Van Daan per consigliarsi se convenga trasferirci nel nostro rifugio segreto. Siccome i Van Daan verranno con noi, saremo sette in tutto -. Silenzio. Non potevamo più parlare. Il pensiero di papà che, senza sospettare nulla di male, era andato a visitare dei vecchi all'Ospizio ebraico, l'attesa di mamma, il caldo, la tensione, tutto ci faceva tacere.

    Suonarono di nuovo. E' Harry, - dissi io.- Non aprire, - fece Margot, trattenendomi. Ma era inutile: udimmo mamma e il signor Van Daan che parlavano di sotto con Harry, poi entrarono e chiusero la porta dietro di sé. Ora a ogni scampanellata io o Margot avremmo dovuto scendere piano piano per vedere se era papà, e non aprire a nessun altro.

    (…) Nasconderci! Dove dovremmo nasconderci, in città, in campagna, in una casa, in una capanna, quando, come, dove…? Erano problemi ch'io non volevo pormi, e che tutta via continuamente raffioravano. Margot ed io cominciammo a stipare l'indispensabile in una borsa da scuola. La prima cosa che ci ficcai dentro fu questo diario, poi arriccia-capelli, fazzoletti, libri scolastici, un pettine, vecchie lettere; pensavo che bisognava nascondersi e cacciavano nella borsa le cose più assurde. Ma non me ne rammarico, ci tengo di più ai ricordi che ai vestiti.

    Alle cinque finalmente arrivò papà; telefonammo al signor Kleiman e gli domandammo se sarebbe potuto venire quella sera stessa. Van Daan andò a prendere Miep. Miep arrivò, mise in borsa scarpe, vestiti, biancheria, calze, e li portò via promettendo di tornare la sera.

    Poi vi fu silenzio nella nostra casa; nessuno di noi quattro volle mangiare, faceva ancora caldo e tutto pareva tanto strano. Avevamo affittato la grande camera del piano di sopra a un certo signor Goldschmidt, un uomo divorziato, sulla trentina, che quella sera sembra non avesse nulla da fare, perciò rimase a ciondolarci attorno fino alle dieci, e con buone parole non c'era verso di liberarcene.

    Alle undici giunsero Miep e Jan van Gies. Miep lavora con papà dal 1933 ed è divenuto una nostra intima amica, così come il suo novello sposo Henk. Scarpe, calze, libri e biancheria scomparvero ancora una volta nella borsa di Miep e nelle profonde tasche di Henk; alle undici e mezza se n'erano andati anche loro. Io ero stanca morta, e sebbene sapessi che quella era l'ultima notte che avrei passato nel mio letto, dormii sodo e fui svegliata alle cinque e mezza dalla mamma. Per fortuna faceva meno caldo che domenica, e piovve poi tutto il giorno. Ci infagottammo tutti e quattro come se dovessimo passare la notte in una ghiacciaia, e ciò alla scopo di portar via quanto più vestiario potevamo. Nessun ebreo, nelle nostre condizioni, avrebbe osato uscir di casa con una valigia piena di abiti. Io avevo addosso due camicie, tre calzoncini, una sottoveste, una sottana, una giacchetta, una giacca da estate, due paia di calze, scarpe pesanti, un berretto, uno scialle e altro ancora; soffocavo già prima d'uscire di casa, ma nessuno se ne preoccupava. Margot riempì la sua cartella di libri scolastici, tolse la bicicletta dalla rimessa e filò dietro a Miep per destinazione a me sconosciuta. Io infatti continuavo a ignorare dove fosse il luogo misterioso che ci attendeva. Alle sette e mezza anche noi ci chiudemmo la porta dietro; l'unico essere da cui presi congedo fu Moortje, il mio gattino, che avrebbe trovato buon alloggio presso i vicini, come era detto in una lettera indirizzata al signor Goldschmidt.

    In cucina un bel pezzo di carne per il gatto e le tazze della colazione sul tavolo, i letti disfatti, tutto lasciva l'impressione che noi fossimo scappati a rotta di collo. Ma le impressioni degli altri non ci importavano, noi volevamo andar via, via, e arrivare al sicuro, nient'altro. Continuerò domani.

    La tua Anna

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  11. Sabato, 11 luglio 1942

    […]La nostra cameretta, con i suoi muri nudi, era assai disadorna; grazie al babbo che fin da prima aveva portato qui la mia collezione di stelle del cinema e di cartoline illustrate ho trasformato la stanza, dopo averne spennellato di colla le pareti, in una fitta mostra di figurine. Così ha un'aria molto più allegra, e quando verranno i Van Daan, con la legna che c'è in soffitta faremo qualche scaffaletto e altre graziose carabattole. […]

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  12. 9 ottobre 1942

    Cara Kitty,

    oggi non posso darti che notizie brutte e deprimenti. Stanno arrestando, a gruppi, tutti i nostri amici ebrei. La Gestapo è tutt'altro che riguardosa con questa gente; vengono trasportati in carri bestiame a Westerbork, il grande campo di concentramento per eberei nella Drenthe.[…]

    Westerbork dev'essere terribile; per centinaia di persone un solo lavatoio e pochissime latrine... Fuggire è impossibile; quasi tutti gli ospiti del campo sono riconoscibili dai loro crani rasati e molti anche dal loro aspetto ebraico.
    Se in Olanda stanno già così male, come saranno nelle contrade barbare e lontane dove li mandano? Supponiamo cheper lo più vengano assassinati. La radio inglese dice che li gasano. Forse è il metodo più spiccio per morire. Sono molto turbata.

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  13. Lunedì, 23 agosto 1943

    Cara Kitty,
    orario dell'alloggio segreto: otto e mezza del mattino. Margot e mamma sono nervose: -Sst,... papà, zitto. Otto...sst, Pim! Sono le otto e mezza, vieni via, chiudi l'acqua, cammina piano!
    Così redarguiamo il babbo che si attarda nella camera da bagno, mentre alle otto e mezza bisogna già essere in camera. Nemmeno una goccia d'acqua, non usare il gabinetto, non camminare, tutti zitti. Quando in ufficio non c'è ancora nessuno, nel magazzino si può sentire tutto.
    Alle otto e venti sopra aprono la porta e batton tre colpi per terra: i fiocchi d'avena per Anna. Salgo e porto via la mia ciotola da cagnolino.
    Tornata sotto in camera mia, sbrigo presto tutto: mi pettino, nascondo la latta, metto a posto il letto. Zitti, suonano le otto e mezza!Di sopra, la signora si toglie le scarpe e cammina in pantofole per la stanza, come suo marito per non far rumore.
    Ora il quadretto familiare è completo. Io voglio leggere o studiare, Margot anche, e così pure papà e mamma. Papà naturalmente con Dickens e il dizionario, siede sulla sponda del suo letto sfondato, che non ha più materassi decenti; adempiono a questo ufficio due capezzali l'uno sopra l'altro. -Se non posso averli, ne faccio senza!

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  14. Lunedì sera, 8 novembre 1943

    Cara Kitty,
    se tu leggessi tutte le mie lettere una dopo l'altra, certamente ti stupiresti di vederle scritte in stati d'animo tanto differenti. Mi spiace molto di essere così schiava del mio umore, non sono la sola, qui lo sono tutti. Se leggo un libro che mi fa impressione, prima di riprendere il contatto con gli altri debbo riassettarmi mentalmente, se no potrei apparire piuttosto stramba. Attualmente, come avrai notato, sto attraversando un periodo di depressione. Non ti saprei dire il perché, ma credo che quella contro cui continuo a cozzare sia la mia viltà.
    Stasera, quando Bep era da noi, udimmo una forte e lunga scampanellata. Immediatamente, dalla paura, impallidii e fui colta dai dolori di ventre e dal batticuore.
    La sera a letto mi sembrava di essere sola in carcere, senza padre né madre. A volte vado errando per strada, oppure il nostro ricovero segreto è in fiamme, o vengono di notte per portarci via. Vedo tutte queste cose, come se le vivessi realmente col mio corpo, e ho l'impressione che mi debbano presto accadere.
    Miep dice sovente di invidiarci perché qui siamo tranquilli. Sarà verissimo, ma non pensa certamente alla nostra paura. Non so nemmeno immaginare che un giorno il mondo torni normale per noi. Ho un bel parlare del "dopoguerra", ma è come se parlassi di castelli in aria che non diverranno mai realtà. Penso alla nostra casa di prima, alle amiche, alle feste scolastiche, come penserei a cose di cui un altro ha fatto esperienza, non io.
    L'alloggio segreto col nostro gruppo di rifugiati mi sembra uno squarcio di cielo azzurro attorniato da nubi nere cariche di pioggia. L'area rotonda e circoscritta su cui stiamo è ancora sicura, ma le nubi si avvicinano sempre di più e sempre più stretto diventa il cerchio che ci separa dal cerchio incombente. Siamo immersi nelle tenebre e nel pericolo e urtiamo gli uni contro gli altri cercando disperatamente una via di salvezza. Guardiamo tutti in basso dove gli uomini combattono, guardiamo in alto dove regnano la quiete e la bellezza e intanto siamo tagliati fuori da quella tetra massa che non ci lascia salire in alto ma sta dinanzi a noi che come un muro impenetrabile, che ci vuol schiacciare ma ancora non può ancora. Non posso far altro che gridare e implorare: «O cerchio, o cerchio, allargati, apriti, lasciaci uscire!»
    La tua Anna

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  15. Venerdì 29 ottobre 1943

    Mi sento come un uccello che vorrebbe volare in alto ma continua a sbattere le ali contro la gabbia, nell'oscurità più totale.

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  16. Venerdì 24 dicembre 1943

    Cara Kitty,
    quando viene qualcuno di fuori, col vento negli abiti e il freddo nel viso, vorrei ficcare la testa sotto le coperte per non pensare : " Quando ci sarà di nuovo concesso di respirare un po' d'aria fresca?" […]
    Credimi, quando sei stata rinchiusa per un anno e mezzo, ti capitano dei giorni in cui non ne puoi più.
    Sarò forse ingiusta e ingrata, ma i sentimenti non si possono reprimere .
    Vorrei andare in bicicletta, ballare, fischiettare, guardare il mondo, sentirmi giovane, sapere che sono libera, eppure non devo farlo notare perché, pensa un po', se tutti e otto ci mettessimo a lagnarci e a far la faccia scontenta, dove andremo a finire ? A volte mi domando : " Che non ci sia nessuno capace di comprendere che, ebrea o non ebrea, io sono soltanto una ragazzina con un gran bisogno di divertirmi e di stare allegra ?

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  17. Venerdì, 7 gennaio 1944


    Cara Kitty,
    che stupida sono stata! Ho completamente dimenticato di raccontarti la storia di tutti i miei innamorati.
    Da piccina, quando ero ancora all'asilo infantile, avevo simpatia per Sally Kimmel. Era orfano di padre e abitava con sua madre in casa di una zia. Un cugino di Sally, Appy, era un bel ragazzo, bruno e slanciato, e suscitava molto più ammirazione che il piccolo, grosso e buffo Sally. Io non guardo alla bellezza, e per molti anni ho voluto molto bene a Karel. Per parecchio tempo stemmo molto insieme, ma il mio amore non era corrisposto. Poi Peter capitò sulla mia strada e presi una vera cotta infantile. Anche lui mi voleva bene e per tutta un'estate fummo inseparabili. Ricordo ancora quando andavamo per strada tenendoci per mano, lui con un abito di cotone bianco e io con un vestitino estivo dalla sottana corta. Alla fine delle vacanze egli andò in prima media e io in sesta elementare. Veniva a prendermi a scuola oppure andavo io a prendere lui. Peter era un ragazzo perfetto: alto, slanciato, bello, con un viso serio, tranquillo e intelligente. Aveva capelli scuri e splendidi occhi bruni, guance rosee e naso affilato. Andavo pazza soprattutto del suo riso, che gli dava un'aria birichina e maliziosa. Passai le vacanze in campagna; quando tornai, Peter aveva cambiato casa e abitava insieme con un amico molto più anziano di lui. Costui, a quanto sembra, gli fece notare che io ero ancora una bambinella e Peter mi piantò. Gli volevo tanto bene che non volli vedere la verità e gli rimasi attaccata, finché venne il giorno che mi resi conto che se continuavo a corrergli dietro mi avrebbero preso per una ragazza leggera. Passarono gli anni. Peter andava in giro con ragazze della sua età e neppur più mi salutava, ma io non lo potevo dimenticare. Andai al Liceo ebraico, molti giovani della nostra classe si innamorarono di me, io trovavo ciò molto divertente, mi sentivo onorata, ma nulla più. In seguito Hello si invaghì di me, ma, come ho già detto, io non fui mai più innamorata. C'è un detto: "Il tempo guarisce tutte le ferite"; e così avvenne anche a me. Mi immaginai di aver dimenticato Peter e di non aver più alcun interesse per lui. Ma il ricordo di lui continuava a vivere così intensamente nel mio subcosciente, che dovetti infine confessare a me stessa che ero gelosa delle altre ragazze, e che per questo egli non mi interessava più. Questa mattina ho capito che nulla è cambiato, anzi, a mano a mano che divento più vecchia e matura, il mio amore cresce. Posso ora ben comprendere che Peter mi trovasse infantile, eppure ancora mi addolora che egli mi abbia così dimenticata. Il suo viso mi è apparso così chiaramente che ora so con certezza che nessun altro potrebbe prendere il suo posto nel mio cuore.

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  18. Lunedì, 14 febbraio 1944

    Cara Kitty,
    da sabato c'è molto di cambiato per me. È andata così. Avevo una folla di desideri e li ho ancora -ma in parte, in piccolissima parte, i miei desideri sono soddisfatti.
    Stamane mi sono accorta, e con grande gioia, - per essere sincera,- che Peter mi guardava continuamente. In modo del tutto inconsueto, non so come, non so spiegarlo.
    Prima avevo pensato che Peter fosse innamorato di Margot, ora ebbi d'un tratto la sensazione che non è così. Per tutto il giorno ho cercato di non guardarlo troppo, perché se lo facevo, anche lui mi guardava - e allora...allora provavo una sensazione gradevole, dentro di me, che non debbo provare troppo spesso.

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  19. Lunedì, 14 febbraio 1944

    Cara Kitty,
    da sabato c'è molto di cambiato per me. È andata così. Avevo una folla di desideri e li ho ancora -ma in parte, in piccolissima parte, i miei desideri sono soddisfatti.
    Stamane mi sono accorta, e con grande gioia, - per essere sincera,- che Peter mi guardava continuamente. In modo del tutto inconsueto, non so come, non so spiegarlo.
    Prima avevo pensato che Peter fosse innamorato di Margot, ora ebbi d'un tratto la sensazione che non è così. Per tutto il giorno ho cercato di non guardarlo troppo, perché se lo facevo, anche lui mi guardava - e allora...allora provavo una sensazione gradevole, dentro di me, che non debbo provare troppo spesso.

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  20. Venerdì 18 febbraio 1944.

    Cara Kitty,
    Tutte le volte che io vado di sopra, il mio vero scopo è di vedere "lui". La mia vita qui è molto migliorata, perché ho di nuovo uno scopo e mi posso rallegrare di qualche cosa. L'oggetto della mia amicizia è sempre in casa e non da temere rivali, salvo Margot. Non pensare che io sia innamorata, non lo sono affatto; ma ho l'impressione che fra Peter e me si svilupperà un nobile sentimento, di amicizia e di confidenza. Appena posso vado da lui, e non è più come prima, quando non sapeva che farsene, di me. Anzi, parla ancora quando io sono già quasi fuori dall' uscio

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  21. Mercoledí, 23 febbraio 1944

    Cara Kitty,
    da ieri il tempo è splendido fuori, e io sono molto animata. Vado quasi ogni mattina nel solaio, dove lavora Peter, per liberarmi i polmoni dall’aria viziata della stanza. Mi siedo per terra nel mio posticino preferito e guardo il cielo azzurro, il castagno brullo sui cui rami scintillano piccole goccioline, i gabbiani e gli altri uccelli che fendono l’aria e sembrano argentati.
    Egli stava in piedi col capo appoggiato alla grossa trave, io seduta, respiravamo l’aria fresca, guardavamo fuori e sentivamo che c’era qualcosa che non bisognava interrompere con le parole. Rimanemmo a lungo cosí, e quando egli dovette salire in soffitta a spaccar legna, sapevo che è proprio un bel ragazzo. Si arrampicò per la scaletta, io lo seguii e per tutto il quarto d’ora che spaccò legna non dicemmo parola.
    Dal mio posto di osservazione lo guardavo e capivo che cercava di far del suo meglio per mostrarmi quanto era forte. Ma guardavo anche dalla finestra aperta, sopra un grande settore di Amsterdam, sopra tutti i tetti fino all’orizzonte, tanto luminoso e azzurro che la linea di separazione non era chiaramente visibile. «Finché questo c’è ancora, - pensai, - e io posso godere questo sole, questo cielo senza nuvole, non ho il diritto di essere triste».
    Per chi ha paura o si sente incompreso e infelice, il miglior rimedio è andar fuori all’aperto, in un luogo dove egli sia completamente solo, solo col cielo, la natura e Dio. Soltanto allora, infatti, soltanto allora si sente che tutto è come deve essere, e che Dio vuol vedere gli uomini felici nella semplice bellezza della natura. Finché ciò esiste, ed esisterà sempre, io so che in qualunque circostanza c’è un conforto per ogni dolore. E credo fermamente che ogni afflizione può essere molto lenita dalla natura.
    Oh, chi sa che fra non molto io possa dividere questa gioia esuberante con qualcuno che la senta come la sento io!
    La tua Anna

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  22. Martedì, 6 giugno 1944

    "This is D-day" disse alle 12 la radio inglese...
    The invasion has begun!...
    Secondo i notiziari tedeschi, paracadutisti inglesi sono atterrati in Francia. Mezzi da sbarco inglesi combattono con i marinai tedeschi, dice la BBC.
    L'alloggio segreto è in subbuglio! Si avvicina dunque davvero la liberazione lungamente attesa, la liberazione di cui si è tanto parlato, ma che è troppo bella, troppo leggendaria per diventar mai realtà? Quest'anno, 1944, ci darà la vittoria? Non lo sappiamo ancora, ma la speranza ci fa rivivere, ci ridona coraggio e forza. Ci vorrà coraggio infatti per resistere alle continue angosce, alle privazioni, alle sofferenze; ora ciò che più importa è rimanere calmi e tenaci. Ora più che mai occorre ficcare le unghie nella carne per non gridare. La Francia, la Russia, l'Italia e anche la Germania possono gridare per la loro miseria; noi non ne abbiamo ancora il diritto.
    O Kitty, la cosa più bella dell'invasione è che io ho la sensazione che stiano arrivando degli amici. Questi orrendi tedeschi ci hanno così lungamente oppressi, tenendoci il coltello alla gola, che il pensiero degli amici e della salvezza ci riempie nuovamente l'animo di fiducia.
    Non si tratta più solamente degli ebrei, ma dell'Olanda e di tutta l'Europa occupata. Forse, dice Margot, a settembre o a ottobre potrò tornare a scuola.

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  23. sabato 15 luglio 1944



    « "La gioventù in, in fondo è più solitaria della vecchiaia." Questa massima che, ho letto in qualche libro mi è rimasta in mente e l’ho trovata vera; è vero che qui gli adulti trovano maggiori difficoltà che i giovani? No, non è affatto vero. Gli anziani hanno un’opinione su tutto, e nella vita nono esitano più prima di agire. A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio. Chi ancora afferma che qui nell’alloggio segreto gli adulti hanno una vita più difficile, non si rende certamente conto della gravità e del numero di problemi che ci assillano, problemi per i quali forse noi siamo troppo giovani, ma ci incalzano di continuo sino a che, dopo lungo tempo, noi crediamo di aver trovato una soluzione; ma è una soluzione che non sembra capace di resistere ai fatti, che la annullano. Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà. È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili.»

    dal web

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Ευχαριστώ για την επίσκεψη.
Grazie per la tua Gentilezza.

Lunapiena