Πέμπτη 1 Νοεμβρίου 2007

ΠΟΙΗΣΗ και ΝΟΕΜΒΡΗΣ

Novembre Gemmea l'aria il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo e cavo al piè sonante, sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate, fredda, dei morti.
G. Pascoli

6 σχόλια:

  1. Bologna, 1 Novembre

    Che fanno là, presso la muta altana,
    i crisantemi, i nostri fior, che fanno?
    Oh! stanno là, con la beltà lor vana,
    a capo chino, lagrimando, stanno.
    Pensano che quest'anno sei lontana,
    lagrimano che non ci sei quest'anno.
    Non torna più! mormora la campana...
    Ma le cincie: Sì! Sì! Ritorneranno!


    Giovanni Pascoli
    Diario autunnale
    (1907)

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  2. II
    Bologna, 2 Novembre.

    Per il viale, neri lunghi stormi,
    facendo tutto a man a man più fosco,
    passano: preti, nella nebbia informi,
    che vanno in riga a San Michele in Bosco.
    Vanno. Tra loro parlano di morte.
    Cadono sopra loro foglie morte.
    Sono con loro morte foglie sole.
    Vanno a guardare l'agonia del sole.

    Giovanni Pascoli
    Diario autunnale
    (1907)

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  3. Novembre

    Sento forte la malinconia del tetro autunno.
    Osservo dalla finestra,
    il color verde cupo dell'erba del prato,
    gli alberi spogli gocciolano di fresca rugiada,
    i rami rivolti al cielo, come stanche braccia,
    sembrano invocare aiuto al grande cielo,
    ma invano.

    Si ode, perso nella nebbia,
    il cigolio di un vecchio aratro,
    che lavora caparbio in quei terreni desolati;
    triste nenia che echeggia nelle immense vallate.
    Stormi di rondini corrono lontane nel cielo,
    come se scappassero, via, via lontano,
    in cieli remoti, verso miti paesaggi.

    Cade sul davanzale, ritmicamente,
    una goccia d'acqua.
    Questo ticchettio infinito mi assopisce
    in una nube di torpore.
    La maestra mi chiama.
    Tutto svanisce come uno sbuffo di vapore.
    Novembre è inoltrato,
    presto si fa sera.

    Stefano Balletti

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  4. Novembre


    Gemmea l'aria il sole così chiaro
    che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
    e del prunalbo l'odorino amaro
    senti nel cuore…
    Ma secco è il pruno e le stecchite piante
    di nere trame segnano il sereno,
    e vuoto il cielo e cavo al piè sonante,
    sembra il terreno.
    Silenzio, intorno: solo alle ventate,
    odi lontano, da giardini ed orti,
    di foglie un cader fragile.
    E' l'estate, fredda, dei morti.

    G. Pascoli

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  5. LE FOGLIE MORTE


    Oh! Vorrei tanto che tu ti ricordassi
    dei giorni felici in cui siamo stati amici
    quando la vita era più bella
    ed il sole più ardente di oggi.
    Le foglie morte si raccolgono.

    Ti vedi che non l'ho dimenticato
    le foglie morte raccolgono
    anche i ricordi ed i rimpianti
    ed il vento del nord li porta via con sé
    nella notte fredda dell'oblio.

    Vedi che non ho dimenticato
    la canzone che tu mi cantavi.
    E' mia canzone che ci somiglia
    tu mi amavi ed io ti amavo
    e vivevamo insieme
    tu che mi amavi ed io che ti amavo.

    Ma la vita separa coloro che si amano
    dolcemente, senza far rumore
    ed il mare cancella sulla sabbia
    i passi degli amanti non più uniti.

    Le foglie morte si raccolgono
    i ricordi ed i rimpianti anche
    ma il mio amore silenzioso e fedele
    sorride sempre e ringrazia la vita.

    Ti amavo talmente tanto
    che tu eri cosi felice
    come vuoi che ti dimentichi
    quando la vita era più bella
    ed il sole più ardente di oggi.

    Tu eri la mia più dolce amica
    ma adesso non mi resta che il rimorso
    e la canzone che tu cantavi,
    sempre, sempre la canterò.

    E' una canzone che ci somiglia
    tu mi amavi... ed io ti amavo
    e vivevamo insieme
    tu che mi amavi... ed io che ti amavo.

    Ma la vita separa coloro che si amano
    dolcemente, senza far rumore
    ed il mare cancella sulla sabbia
    i passi degli amanti non più uniti.

    Jacques Prevert

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  6. ....Alla stazione
    in una mattina d'autunno


    Oh quei fanali come s’inseguono
    accidïosi là dietro gli alberi,
    tra i rami stillanti di pioggia
    sbadigliando la luce su ’fango!

    Flebile, acuta, stridula fischia
    la vaporiera da presso. Plumbeo
    il cielo e il mattino d’autunno
    come un grande fantasma n’è intorno.



    Dove e a che move questa, che affrettasi
    a’ carri foschi, ravvolta e tacita
    gente? a che ignoti dolori
    o tormenti di speme lontana?

    Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
    al secco taglio dài de la guardia,
    e al tempo incalzante i begli anni
    dài, gl’istanti gioiti e i ricordi.

    Van lungo il nero convoglio e vengono
    incappucciati di nero i vigili,
    com’ombre; una fioca lanterna
    hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei...

    freni tentati rendono un lugubre
    rintocco lungo: di fondo a l’anima
    un’eco di tedio risponde
    doloroso, che spasimo pare

    E gli sportelli sbattuti al chiudere
    paion oltraggi: scherno par l’ultimo
    appello che rapido suona:
    grossa scroscia su’ vetri la pioggia.

    Già il mostro, conscio di sua metallica
    anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
    occhi sbarra; immane pe ’l buio
    gitta il fischio che sfida lo spazio.

    Va l’empio mostro; con traino orribile
    sbattendo l’ale gli amor miei portasi.
    Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo
    salutando scompar ne la tènebra.

    O viso dolce di pallor roseo,
    o stellanti occhi di pace, o candida
    tra’ floridi ricci inchinata
    pura fronte con atto soave!

    Fremea la vita nel tepid’aere,
    fremea l’estate quando mi arrisero;
    e il giovine sole di giugno
    si piacea di baciar luminoso

    in tra i riflessi del crin castanei
    la molle guancia: come un’aureola
    più belli del sole i miei sogni
    ricingean la persona gentile.

    Sotto la pioggia, tra la caligine
    torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
    barcollo com’ebro, e mi tocco,
    non anch’io fossi dunque un fantasma.

    Oh qual caduta di foglie, gelida,
    continua, muta, greve, su l’anima!
    io credo che solo, che eterno,
    che per tutto nel mondo è Novembre.

    Meglio a chi ’l senso smarrì de l’essere,
    meglio quest’ombra, questa caligine:
    io voglio io voglio adagiarmi
    in un tedio che duri infinito.

    Giosuè Carducci
    (da Odi barbare, 1889)

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Ευχαριστώ για την επίσκεψη.
Grazie per la tua Gentilezza.

Lunapiena