
Cesare Pavese (9.9.1908-27.8.1950)
Antenati
Stupefatto del mondo mi giunse un'età
che tiravo dei pugni nell'aria e piangevo da solo.
Ascoltare i discorsi di uomini e donne
non sapendo rispondere, è poca allegria.
Ma anche questa è passata: non sono phi solo
e, se non so rispondere, so fame a meno.
Ho trovato compagni trovando me stesso.
Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto
sempre in uomini saldi, signori di sè,
e nessuno sapeva rispondere e tutti eran calmi.
Due cognati hanno aperto un negozio - la prima fortuna
della nostra famiglia - e l'estraneo era serio,
calcolante, spietato, meschino: una donna.
L'altro, il nostro, in negozio leggeva romanzi
- in paese era molto - e i clienti che entravano
si sentivan rispondere a brevi parole
che lo zucchero no, che il solfato neppure,
che era tutto esaurito. E' accaduto phi tardi
che quest'ultimo ha dato una mano al cognato fallito.
A pensar questa gente mi sento più forte
che a guardare lo specchio gonfiando le spalle
e atteggiando le labbra a un sorriso solenne.
E' vissuto un mio nonno, remoto nei tempi,
che si fece truffare da un suo contadino
e allora zappò lui le vigne - d'estate -
per vedere un lavoro hen fatto. Così
sono sempre vissuto e ho sempre tenuto
una faccia sicura e pagato di mano.